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CAMOUFLAGE


Navid Azimi Sajadi, giovane artista originario di Teheran, recentemente invitato alla Biennale di Shangai, ha da anni intrapreso un percorso artistico internazionale, esponendo in prestigiose istituzioni pubbliche e private da New York ad Istanbul, da Teheran a Berlino, ecc. Muovendosi liberamente tra differenti media, Navid reinterpreta antichi simboli e scritture persiane, in un lavoro che contiene polarità opposte e s’interroga sui valori e gli ideali contemporanei.

Il lavoro recente di Navid, accosta iconografie apparentemente dicotomiche: immagini della classicità occidentale ad altre di impianto mediorientale. Nella sua ricerca artistica, caratterizzata da questo dualismo, trapela il desiderio di creare un ponte tra differenti culture: quella del suo Paese d’origine, l’Iran, con i simboli esoterici, con l’iconografia sassanide e la cultura che ha conosciuto in Italia, a Roma caratterizzata dall’antichità classica.

Nelle intenzioni dell’artista c’è la volontà di creare metalinguaggio trasversale tra opere esistenti riconoscibili storicamente a cui conferire una nuova collocazione semantica che porti il fruitore ad una rilettura delle medesime in una chiave differente. C’è qualcosa di postmoderno, nell’idea di una storia ciclica che si riavvolge rivedendo il passato in una nuova visione.

La serie Camouflage, fotografie elaborate digitalmente, contiene una risemantizzazione della cultura occidentale classica attraverso una sapiente manipolazione delle identità delle icone. Il metalinguaggio presente in queste immagini irreali, apocalittiche, permeate di una delicata violenza concettuale, ne permette una pluralità di visioni e di letture.

La migrazione ha determinato in Navid un ampliamento di prospettiva ed una libertà di visione quasi totale. Camouflage è il risultato di una strategia di vita, che ha permesso all’artista di integrarsi in una cultura diversa: “Cammuffarsi” per essere accettati e pian piano assorbire la diversità e farla propria.

Nella serie di pitture su carta, l’artista rappresenta nove idoli. Navid sottolinea che Idol, nella cultura persiana, significa “amata”. Gli idoli e le icone sono simboli che, desacralizzati e demitizzati, compongono l’iconografia del suo lavoro e sono investiti di nuovi significati. Nell’appropriarsi dell’iconografia classica e nel rimetterla in scena, l’artista crea una teatralizzazione immobile, un frame postmoderno che di quest’ultimo ne forza i limiti.

Miti illegali, clandestini, credenze popolari che risiedono ai margini delle cultura ufficiale e leggende, divinità di epoche remote sassanidi, si sovrappongono alla mitologia ed all’estetica classica non solo per via di contrasto ma per analogia e continuità.

Presente in mostra anche una grande installazione raffigurante una stella stilizzata in felcro. In quest’opera, l’artista si riferisce concettualmente alla simbologia di derivazione mesopotamica e rappresentante Ištar: la dea dell’amore e della guerra, una divinità che divide. Le stelle pensili di Navid rappresentano due ponti che formano due strade. Forse il bivio che ha definitivamente cambiato il corso della vita di Navid e che forse potrebbe cambiare anche il nostro.


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